Intervento chirurgico per correggere l’alluce valgo

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La soluzione definitiva, la più drastica, per l’alluce valgo, è l‘intervento chirurgico.

Trattandosi di un’operazione e quindi di un trattamento invasivo, essa è indicata nei casi più gravi e, possibilmente, solo dopo aver provato metodi più soft come ad esempio il tutore, che in circa il 70-80% dei casi riesce a risolvere brillantemente il problema.

Ad ogni modo, spetta sempre e soltanto al medico stabilire se e come si debba procedere.

L’intervento chirurgico per la correzione dell’alluce valgo prevede l’utilizzo di varie tecniche, la cui scelta va stabilita in base a diversi criteri che devono essere attentamente valutati dallo specialista.

Ecco cosa c’è da sapere in proposito.

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Valutazione delle condizioni del paziente

 

Prima di intervenire chirurgicamente, è indispensabile una corretta e puntuale valutazione clinica delle condizioni del paziente.

Innanzitutto si deve stabilire se sia il caso di operare, oltre che a livello dell’alluce, anche dei metatarsi o delle dita, poi si deve optare per la tecnica chirurgica più appropriata.

Certe volte infatti, è necessario correggere anche il piattismo del piede; per avere un quadro preciso della condizione, si effettuano le indispensabili radiografie.

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Tecniche chirurgiche “open”

 

Per tecniche chirurgiche “open” si intendono quelle tradizionali.

In tali interventi “a cielo aperto”, grazie ad una incisione sulla pelle, è possibile vedere direttamente sia l’articolazione che l’osso interessati dal disturbo, il che costituisce, come è evidente, il punto di forza di questo tipo di operazioni, in cui il medico ha l’opportunità di trovarsi “a tu per tu” con il problema che deve risolvere ed è quindi in grado di affrontarlo con la massima sicurezza.

Le tecniche “open” presentano tuttavia uno svantaggio connesso alla grandezza dell’incisione e al fatto che l’osteotomia ossea, cioè il taglio dell’osso, viene bloccato (sintetizzato) con dei mezzi di sintesi, le classiche viti.

Non è difficile capire che il grado di invasività è abbastanza elevato.

 

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Chirurgia mini-invasiva (o percutanea)

 

La stessa definizione chiarisce inequivocabilmente la caratteristica principale di questa tecnica: la chirurgia mini-invasiva, detta anche percutanea, si effettua attraverso la pratica di piccole incisioni cutanee, in parole semplici dei “buchini“, in cui si fanno passare gli strumenti chirurgici.

Questi ultimi sono delle mini-frese, non molto diverse dai ferri comunemente usati dai dentisti, che servono a fare delle osteotomie per poter giungere a riallineare la stortura che si vuole correggere.

La tecnica tradizionale non prevede l’uso di mezzi di sintesi quali, ad esempio, le viti e i fili, per risanare le osteotomie, pertanto nel post operatorio il piede in genere resta gonfio per più tempo, poiché il callo osseo tende a riformarsi meno velocemente.

La mancanza dei mezzi di sintesi inoltre, fa sì che il bendaggio assuma un ruolo particolarmente rilevante.

Esso si esegue con grande attenzione quando il paziente si trova ancora in sala operatoria, quindi in regime di sterilità, usando metodo ed accortezza.

In certi casi il bendaggio, che nel post operatorio non va gestito dal paziente, va controllato prima che siano trascorse due settimane, il lasso di tempo previsto per la de-sutura.

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Questa tecnica, un po’ come accade per qualsiasi cosa in fondo, presenta vantaggi e svantaggi.

Tra i primi non si può non annoverare la pratica di incisioni minime, i tempi chirurgici ristretti, il sanguinamento ridotto e la totale mancanza, come già detto, di mezzi di sintesi; per quanto riguarda i secondi invece, l’interessato deve sapere che il gonfiore durerà di più rispetto a quanto accade dopo l’esecuzione degli interventi tradizionali e che si potrebbe avvertire dolore, dovuto quest’ultimo alla guarigione più lenta dell’osteotomia.

Come si può notare, i lati negativi sono comunque pochi e facilmente superabili, specie se rapportati a quelli positivi, numerosi ed importanti, pertanto la chirurgia mini invasiva o percutanea è giudicata dalla quasi totalità degli specialisti un’ottima tecnica, valida nella maggior parte dei casi (anche se non in tutti).

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Tecniche miste

 

Le cosiddette tecniche miste sono quelle che prevedono correzioni eseguite con tecnica percutanea o con piccole incisioni ad un intervento di tipo tradizionale.

Rispetto all’operazione classica, le incisioni chirurgiche si riducono.

Ma quando e perché vi si ricorre?

Praticamente quando le deformità sono troppo articolate e complesse per poter essere corrette con la chirurgia mini invasiva.

A decidere, ovviamente, è il chirurgo: solo lui, attraverso un accurato planning pre operatorio, può stabilire quale sia la tipologia di intervento più adatta a risolvere il singolo caso.

Anche per quanto riguarda l’alluce valgo infatti, vale il principio della cura personalizzata in base alle specifiche esigenze del singolo.

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Decorso post operatorio

 

Dopo l’intervento vengono somministrati antidolorifici per via endovenosa, la più efficace e veloce.

Una volta dimesso, il soggetto operato è in grado di deambulare in modo autonomo indossando la scarpa post operatoria.

In genere le stampelle non servono, ma a volte possono aiutare ad abituarsi ai primi passi.

Il tipo di medicazione è diverso a seconda della tecnica chirurgica impiegata.

Se in quelle mini invasive/percutanee o miste essa è parte integrante dell’intervento stesso, nelle open è il paziente che deve gestirla medicando a giorni alterni la ferita e imbastendo di volta in volta una nuova fasciatura rispettando le indicazioni del medico.

Di solito si verifica un sanguinamento che può macchiare le bende, ma ciò non deve allarmare.

L’intervento per l’alluce valgo si esegue quasi sempre in modo programmato ed attuando un’anestesia periferica (si addormenta l’arto dalla gamba in giù oppure a partire dalla caviglia) in regime di day-hospital (si viene operati e dimessi nel corso della stessa giornata).

Quasi sempre le scarpe post operatorie si devono indossare per circa un mese.

Dopo un controllo radiografico ed una visita, si valuta la situazione e, di solito, si torna a poter mettere scarpe normali purché comode.

Giunti a questo punto, è perfettamente naturale avere ancora il piede un po’ gonfio ed avvertire un dolore sopportabile.

Per chi le ama ed è abituato ad usarle, la tentazione di indossare il prima possibile modelli di scarpe esteticamente gradevoli come quelle con il tacco alto e la punta stretta è decisamente forte, ma bisogna resistere per almeno 3 mesi e chiedere sempre prima il parere del chirurgo.

Lo stesso vale per qualsiasi tipo di attività fisica, specie se ad impatto elevato.